preload preload preload preload

venerdì 11 gennaio 2008

Nuovi rischi sociali, sistemi di welfare troppo vecchi?*

di Sabina Mazza

Il ruolo del welfare è proteggere l’individuo dai principali rischi sociali, ad esempio consentendo il superamento di problemi come povertà, esclusione sociale e di ogni forma di dipendenza nella sfera economica. Ma è la categoria stessa di rischio sociale che deve essere oggi ridefinita, poiché assistiamo a un forte cambiamento della natura dei rischi. I nuovi rischi o, meglio, i nuovi stati di bisogno, non sono più aleatori: essi cioè colpiscono inevitabilmente e si protraggono a lungo nel tempo. Per comprendere a fondo la portata dei cambiamenti sociali in atto, va posta l’attenzione innanzitutto sulla trasformazione della natura e dell’entità dei rischi sociali e del tipo di domanda di protezione sociale che essi pongono al welfare state.

Invecchiamento, occupazione (in particolare femminile) ed ereditarietà del disagio per le giovani generazioni rappresentano tre tra le spine nel fianco dei sistemi di protezione sociale della nuova Europa.

Come è noto, i livelli di spesa per la protezione sociale e di imposizione fiscale complessiva presentano grandi variazioni tra le nazioni dell’UE, con i paesi scandinavi e continentali in cima alla lista e quelli anglosassoni e dell’Europa meridionale in fondo. Le indicazioni relative ai nuovi Paesi membri presi in esame consentono di indicare una tendenza a posizionarsi nella fascia più bassa sia di spesa che di contribuzione statale della spesa.

Tabella 1. Spesa per protezione sociale ripartita per funzioni. In % sul Pil. Anno 2002

Paesi

Totale spesa prot sociale/ Pil %

Totale Spesa Pensioni/ Pil %

Spesa pensioni vecchiaia

/Pil %

Spesa

pensioni reversibilità

/Pil %

Spesa famiglia figli/Pil %

Spesa per disoccup

/Pil %

Spesa salute e disabilità

/Pil %

Spesa casa e escl. Sociale

/Pil %

Belgio

27,8

11,5

8,8

2,6

2,2

3,2

8,8

0,5

Danimarca

30,0

13,0

11,0

0,0

3,9

2,7

9,8

1,7

Germania

30,5

12,5

12,0

0,5

3,1

2,5

10,6

0,7

Grecia

26,6

13,1

12,2

0,9

1,8

1,6

8,1

1,2

Spagna

20,2

8,8

8,3

0,6

0,5

2,7

7,4

0,3

Francia

30,6

12,6

10,6

1,9

2,7

2,2

10,3

1,3

Irlanda

16,0

3,6

2,8

0,8

2,4

1,3

7,2

0,8

Italia

26,1

15,5

12,9

2,6

1,0

0,4

8,1

0,1

Lussemburgo

22,7

8,3

5,9

2,5

3,7

0,8

8,7

0,7

Olanda

28,5

11,0

9,5

1,5

1,2

1,4

11,3

1,8

Austria

29,1

14,1

11,5

2,5

3,0

1,5

9,3

0,5

Portogallo

25,4

10,1

8,6

1,5

1,1

0,9

9,7

1,1

Finlandia

26,4

9,4

8,4

1,0

3,0

2,5

9,8

0,8

Svezia

32,5

12,4

11,7

0,7

3,0

1,7

12,9

1,3

Regno Unito

27,6

12,3

11,3

1,0

1,8

0,9

9,8

1,8

media UE 15

26,7

11,2

9,7

1,4

2,3

1,8

9,5

1,0

Repubblica C.

19,9

8,3

8,1

0,1

1,6

0,7

8,7

0,7

Estonia

14,3

6,0

5,8

0,2

2,0

0,2

5,4

0,4

Lettonia

14,3

7,9

7,5

0,4

1,4

0,5

4,0

0,2

Lituania

15,2

6,8

6,5

0,3

1,2

0,3

5,6

0,5

Ungheria

20,9

8,8

8,5

0,3

2,6

0,6

7,8

0,7

Malta

17,7

9,2

7,3

1,7

1,1

1,2

5,5

0,4

Polonia

22,1

11,8

10,8

1,0

1,7

0,9

7,0

0,0

Slovenia

25,4

11,6

11,1

0,5

2,1

0,8

9,9

0,5

Slovacchia

19,2

7,1

7,0

0,2

1,5

0,8

8,0

1,2

me UE 9

18,8

8,6

8,1

0,5

1,7

0,7

6,9

0,5

media UE 24

23,2

10,0

9,0

1,0

2,0

1,2

8,4

0,8

Fonte: European Social Statistics Eurostat 2004.

Tabella 2. Fonti di finanziamento della spesa per la protezione sociale e pressione fiscale. %. Anno 2002


% Spesa protez. sociale finanziata da contrib. statali



% Spesa protez. sociale finanziata

da altro

Pressione fiscale

%


Contributi sociali

Paesi

% Spesa

protez. sociale finanziata dai

datori di lavoro

% Spesa prot. sociale finanziata da lavoratori

Belgio

25,3

50,1

22,1

2,5

45,7

Repubblica C.

22,9

51,4

24,9

0,9

36,2

Danimarca

62,4

9,7

21,9

6,0

48,8

Germania

33,9

37,0

27,3

1,8

40,3

Estonia

27,0

72,8

0,0

0,2

33,4

Grecia

27,2

39,4

23,1

10,3

36,2

Spagna

27,1

53,9

16,7

2,3

35,6

Francia

30,4

45,9

21,0

2,7

43,8

Irlanda

61,8

23,1

13,5

1,6

29,9

Italia

41,4

42,3

14,9

1,4

42,9

Lettonia

25,2

74,8

0,0

0,0

28,9

Lituania

38,6

53,7

6,2

1,5

28,5

Lussemburgo

43,3

27,4

25,0

4,3

41,3

Ungheria

36,3

42,8

13,0

7,8

39,1

Malta

28,7

47,1

21,1

3,0

33,6

Olanda

18,5

33,2

33,4

14,9

39,3

Austria

34,1

37,9

26,3

1,7

43,0

Polonia

46,4

29,7

23,4

0,4

35,8

Portogallo

39,1

36,0

17,2

7,8

37,0

Slovenia

31,8

26,7

39,9

1,6

40,1

Slovacchia

33,4

46,2

18,5

1,8

30,6

Finlandia

43,4

39,4

11,0

6,1

44,8

Svezia

46,8

41,7

9,2

2,3

50,8

Regno Unito

48,4

31,2

18,8

1,6

35,7

media UE 24

36,4

41,4

18,7

3,5

38,4

Fonte: European Social Statistics. Eurostat 2004; Statistiche di finanza pubblica. Banca d'Italia 2004

I sistemi scandinavi, soprattutto Svezia e Danimarca, sono stati a lungo considerati come tipi quasi-ideali di welfare state e, hanno privilegiato un sistema di tassazione volto al finanziamento di una spesa sociale che consenta una consistente offerta di servizi alla famiglia e all’infanzia (del resto, sono caratterizzati da alta fecondità), e sistemi di tutela per i più deboli che si estendono a tutta la popolazione; anche se i Paesi nordici vedono risolversi il problema dell’attrazione di risorse prevalentemente attorno a due attori: individui e Stato. Sono caratterizzati da un livello di tassazione elevato, che consente, inoltre, di finanziare una larga parte della spesa con contributo statale.

Si tratta di Paesi nei quali la famiglia non costituisce elemento di riferimento principale nella scena sociale e che, di certo, non possiamo definire “familisti”, ma che sono in grado di assicurare notevole supporto alla famiglia, anche in virtù del sostegno dato in passato all’incentivazione dell’occupazione femminile (che in questi Paesi raggiunge livelli molto elevati). Sono, inoltre, tra i Paesi che maggiormente spendono nel settore dell’istruzione rispetto al prodotto interno lordo (Pil) e nelle politiche di sostegno all’occupazione e che raggiungono livelli elevati di life-long learning.

I Paesi dell’Europa continentale sono caratterizzati da un livello di spesa sociale abbastanza consistente: in Paesi come la Germania, la Francia, l’Olanda la spesa per la protezione sociale è stata sempre generosa (28-30% del Pil), e viene finanziata facendo ricorso principalmente ai contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori. In questi Paesi gli attori principali sulla scena sociale sono la famiglia e lo Stato. Diversamente dai Paesi scandinavi, destinataria delle risorse è la famiglia che risulta sostenuta dalla spesa sociale, ma non abbastanza uniformemente né consistentemente, forse, da raggiungere per tutti i Paesi livelli del Tasso di Fecondità Totale,TFT, (inteso come numero di figli per donna) e del tasso di occupazione femminile ugualmente elevati. La spesa sociale, inoltre, finanzia la funzione disoccupazione e salute e disabilità in misura consistente rispetto ad altri regimi di welfare. Per sostenere l’occupazione vengono finanziate anche le misure di sostegno al mercato del lavoro, anche per fronteggiare alcune vulnerabilità di questi Paesi, come ad esempio la disoccupazione di lungo periodo in Germania.

Il sistema di protezione sociale dei Paesi mediterranei, pur contenendo al suo interno varie realtà, si differenzia dai precedenti, sia in termini di risorse impiegate, che di soggetti destinatari delle risorse. Si caratterizzano per una spesa complessivamente più bassa (si va dal 20% rispetto al Pil per la Spagna al 26,6% della Grecia) e per la scelta dei settori cui destinarla. Emergono la situazione dell’Italia per la funzione Pensioni (che sommando le voci vecchiaia e reversibilità raggiunge il 15,5% rispetto al Pil ed il 60% rispetto al totale delle funzioni) e un generalizzato scarso rilievo riservato, in termini di risorse, alle altre funzioni, in particolare, alla voce Famiglia e Figli, sia rispetto al Pil che al totale della spesa. Questa situazione rappresenta un paradosso: si tratta di Paesi che, per tradizione, possono definirsi “familisti” e per i quali i soggetti investiti della responsabilità di assicurare il benessere sono in primo luogo gli individui e le famiglie ma che, tuttavia, osservando i dati non sembrerebbero attribuire alla famiglia e all’infanzia molta rilevanza. Sono caratterizzati, infatti, da un TFT molto basso e da un tasso di disoccupazione femminile consistente in particolare per Spagna e Portogallo che, per fronteggiare tale condizione, destinano maggiori risorse rispetto agli Paesi mediterranei alla funzione occupazione e alle politiche di sostegno al mercato del lavoro.

L’ultimo sistema di welfare è quello Anglo-sassone che si ispira prevalentemente ai principi di mercato e comprende due Paesi, tra loro molto diversi, la cui spesa sociale oscilla nel 2002 tra il 16% dell’Irlanda e il 27% del Regno Unito, ma che sono caratterizzati entrambi da un basso livello di pressione fiscale e da un consistente finanziamento della spesa con contributo statale. L’Irlanda negli anni più recenti si è, per taluni aspetti, allontanata dal Regno Unito ed ha seguito un processo di ricalibratura del welfare avvicinandosi al modello continentale (Ferrera M, Hemerijck A. [2003], Recalibrating European Welfare Regimes in J. Zeitlin and D.Trubeck, eds., Governing Work and Welfare in a New Economy: European and American Experiments, Oxford, Oxford University Press). E’ caratterizzata, inoltre, da un TFT che è il più elevato tra tutti i Paesi dell’UE, arrivando quasi a sfiorare le due unità. In alcuni settori di spesa come salute, famiglia, disoccupazione ed esclusione sociale si posiziona ben al di sopra della media UE.

Nel Regno Unito, al contrario, l’offerta di servizi sociali, oltre all’istruzione e alla sanità, ad esempio quelli rivolti alla famiglia e all’infanzia è piuttosto scarsa e di basso livello. L’accesso a tali servizi non è generalizzato ma collegato all’esistenza di uno “stato di necessità”.

I sistemi di protezione sociale, dunque, rispondono in maniera diversa ai bisogni individuali e collettivi e appare evidente che oggi in Europa si raggiungono livelli di soddisfazione non omogenei. Le differenze sembrano sottolineare in misura più incisiva che in passato vulnerabilità delle società e difficoltà crescenti nell’affrontare (e risolvere) i problemi di invecchiamento, occupazione e scarsa mobilità sociale.

Nel panorama dei sistemi di protezione, gli scandinavi sembrano essere maggiormente in grado di rispondere ai nuovi rischi e bisogni connessi a una società che invecchia e alla transizione verso la “nuova economia”; sia in termini di sostegno alle madri e all’infanzia (vi è una forte correlazione tra la quota della spesa per la protezione sociale destinata a sostenere la famiglia e i figli e il TFT con R=0,98), che di attenzione al settore della formazione e istruzione. Un esempio rilevante è offerto dai servizi pubblici nel settore della cura dei bambini, della maternità e delle forme di congedo parentale. In questo campo i Paesi scandinavi emergono come modelli positivi offrendo alle madri la più ampia gamma di scelta. Inoltre, si dimostrano particolarmente efficaci gli interventi che consentono di conseguire quote molto basse di minori che vivono in famiglie in cui nessuno lavora, di persone che sono a rischio di povertà dopo aver ricevuto trasferimenti, di abbandoni scolastici, e, al contrario, contrario quote tra le più elevate di persone che sono coinvolte nel life-long learning, dimostrando sensibilità e attenzione alla formazione protratta nel tempo come strumento di accrescimento del capitale umano per raggiungere gli obiettivi di Lisbona.

Al contrario, gli altri sistemi di protezione sociale appaiono meno equilibrati e pronti a rispondere efficacemente alle sfide aperte dalle attuali condizioni demografiche, economiche e sociali. Sono distanti, nella destinazione delle risorse, dagli obiettivi e dalla potenziale incisività di un welfare moderno, efficace ed efficiente. In particolare, i mediterranei risultano troppo concentrati sul versante della protezione della vecchiaia e trascurano la spesa per l’istruzione e la formazione e raggiungendo, conseguentemente, alti tassi di abbandono scolastico, livelli modesti di persone con istruzione superiore e interessate dal life-long learning; gli interventi, in generale, non appaiono ben calibrati anche a giudicare dal perdurante rischio di povertà che coinvolge quote consistenti della popolazione nonostante i trasferimenti. I continentali presentano caratteristiche simili anche se con dimensioni più modeste e gli anglo-sassoni mostrano alti tassi di minori che vivono in famiglie in cui nessuno lavora a fronte dei quali, tuttavia, vi è un’alta quota di soggetti che continua la sua formazione dopo il periodo scolastico avvicinandoli per questo aspetto al modello nordico. In questi sistemi, infine, vi è una correlazione scarsa e di segno negativo tra TFT e spesa per famiglia e figli.

Non vi è dubbio, quindi, che un’ulteriore potenzialità da accrescere per questi sistemi dovrà essere l’attenzione verso la componente femminile[1] per una migliore distribuzione delle risorse da destinare a servizi nei confronti delle madri (soprattutto lavoratrici) e al sostegno dell’impegno della donna in termini di cura e assistenza all’interno del nucleo familiare così da valorizzare e incoraggiare il suo ruolo sociale e non ultimo il desiderio di maternità troppo spesso differito.

Sabina Mazza


Principali riferimenti bibliografici

Atkinson A,B, Cantillon B, Marlier E, Nolan B. (2003). Social indicators: the EU and social inclusion, Oxford. Oxford University Press

Atkinson A. B. (2002). European Welfare States and Global Competition, January.

Esping Andersen G. (2002). Towards the Good Society, Once Again?, in Esping Andersen G. et al.: Why We Need a New Welfare State; Oxford; Oxford University Press

Esping-Andersen, G., Gallie D.,Hemerijck. A. and Myles, J. (2002), ‘A New Welfare Architecture for Europe’, in: Revue Belge de Securité Sociale, Vol. 44, No. 3, pp.431-437;

European Commission (2004). The social situation in the European Union 2004. Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities

Mazza S. (2007), Coesione e solidarietà nel modello sociale europeo, In Annali del Dipartimento di Studi Geoeconomici, Roma

Paci M.(2004), Le ragioni per un nuovo assetto del welfare in Europa, in Rivista delle Politiche Sociali, n. 1

Sgritta G.B. (2005), Famiglie di Nazioni, Nazioni di Famiglie, in Rivista delle Politiche Sociali, n.1



* Una sintesi del presente lavoro è disponibile su: http://magazine.sis-statistica.it/

[1] Non vi è dubbio che, in questi sistemi, l’attenzione verso la componente femminile dovrà divenire in futuro maggiore e garantire una ricalibratura delle risorse soprattutto in termini di servizi nei confronti delle madri e di sostegno del ruolo che la donna riveste in termini di cura e assistenza ancora oggi all’interno del nucleo familiare. In questi sistemi si rileva una correlazione scarsa - e di segno negativo – tra TFT e spesa per la funzione famiglia e figli.

Inoltre, sul rapporto tra TFT e occupazione femminile, nei Paesi UE incidono diversi elementi: in positivo la spesa in servizi a famiglia e figli, l’opportunità del lavoro part-time; in negativo, la disoccupazione giovanile.

A tale proposito, ampliando l’analisi ad alcuni Paesi di nuova adesione, si osservi il risultato della regressione sul tasso di occupazione femminile svolta considerando i 15 Paesi UE più Malta, Slovacchia, Slovenia e Ungheria:

Spesa funzione famiglia figli (1992-2001) Beta stand.= 0,555

Lavoro part-time femminile Beta stand.= 0,443

R² = 0,549

0 commenti:

Posta un commento