Luigi Pellizzoni
Cibo, rischio e fiducia.
Spunti da una ricerca europea
Le ricorrenti “emergenze alimentari” degli ultimi anni alla radice di un “crollo di fiducia”
dei consumatori, che, veicolato anche da una sensibilità crescente alle problematiche ambienta-
li, si traduce anche sul fronte dei consumi quotidiani in una rilevante, benchè non preponde- rante, “domanda di sicurezza”. Su questo ha indagato una ricerca finanziata dalla Comuni-
tà Europea – cui ha preso parte l’Autore-, con l’obiettivo di promuovere una migliore com- prensione della natura, delle determinanti e dei processi di diffusione sociale della fiducia nell’informazione sulla sicurezza alimentare, condotta secondo diverse prospettive disciplinari: psicologia, sociologia, marketing, economia. Ne emerge il profilo di un consumatore disin- cantato, nella consapevolezza sia di essere oggetto di ‘ondate’ mediatiche apportatrici di ansia,
sia di avere scarse o nulle probabilità di incidere su processi i cui contenuti reali restano per
lui sostanzialmente opachi al di là di ogni ‘rassicurazione’ formale – con una propensione, spiccata nel caso italiano, alla rassegnazione e al fatalismo. Un segnale di come la “revoca di fiducia” – nei confronti anche del composito universo istituzionale che dovrebbe rassicurarli – non si limiti alle questioni alimentari, ma vada a collocarsi, e debba così essere probelmatiz- zata, in un “contesto più ampio di rischi e insicurezze, di disincanto e sfiducia” che tende oggi
a connotare molti aspetti tanto del vivere quotidiano quanto degli atteggiamenti verso il futu-
ro.
I rischi per la salute legati all’alimentazione sono da diverso tempo all’ordine
del giorno. La più recente vicenda dell’influenza aviaria è solo l’ultimo di una serie di allarmi o crisi alimentari: ‘polli alla diossina’, foot and mouth disease, vino e acqua adulte- rati, BSE o ‘mucca pazza’, e molti altri ancora. Tali allarmi destano preoccupazioni di vario genere. Presso i consumatori esse riguardano gli effettivi rischi per la salute, i comportamenti più adeguati da seguire e l’efficacia delle misure di sicurezza predispo-
ste dalle autorità. Presso queste ultime la preoccupazione è da un lato di riuscire a con- tenere effettivamente le conseguenze sanitarie delle emergenze alimentari; dall’altro di evitare fenomeni di panico o allarmismo eccessivo. Per gli attori economici che si di- spongono lungo la catena alimentare la preoccupazione è ovviamente quella di veder crollare da un giorno all’altro le vendite di un certo genere alimentare, indipendente- mente dalle connessioni che i propri prodotti hanno con le effettive o presunte origini delle minacce.
Da più parti si lamenta una crisi, quando non un vero e proprio crollo, della fiducia dei
consumatori. Tale crisi va inquadrata entro una più generale tendenza, rispetto a pro- blematiche legate all’ambiente e alle tecnologie, alla revoca di una fiducia incondizio- nata nei confronti da un lato delle autorità di governo, dall’altro dell’expertise scientifico
Metronomie anno XIII Giugno- Dicembre 2006
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e professionale, dall’altro ancora dell’industria e del mondo degli affari (De Marchi et
al. 2001; Pellizzoni e Osti, 2003). La domanda che molti si pongono è dunque, in que- sto come in altri ambiti di policy, come riguadagnare la fiducia del consumatore o, più
in generale, del cittadino. La recente costituzione di un’autorità comunitaria per la si- curezza alimentare (EFSA: European Food Safety Authority) va nella direzione non solo
di assicurare un livello di sicurezza più elevato, ma anche di migliorare il rapporto con
il pubblico.
Nel contesto problematico tratteggiato si inscrive una ricerca finanziata dalla Comuni-
tà Europea. Contraddistinta dall’acronimo TRUST1, essa aveva per obiettivo una mi- gliore comprensione della natura, delle determinanti e dei processi di diffusione sociale della fiducia nell’informazione sulla sicurezza alimentare. Comprensione che dovrebbe consentire di migliorare la comunicazione del rischio a livello nazionale e europeo. L’obiettivo d’indagine è stato perseguito con una varietà di approcci e tecniche (dal questionario strutturato all’indagine qualitativa mediante interviste di gruppo, dalla segmentazione di mercato alla modellizzazione del comportamento del consumatore)
e da diverse prospettive disciplinari: psicologia, sociologia, marketing, economia.
La ricerca ha preso avvio nel 2003 e si è conclusa nel novembre 2005, anche se ulte- riori attività di analisi e disseminazione dei risultati sono previste per i mesi successivi.
I partner coinvolti sono otto e gli studi empirici sono stati condotti in cinque paesi comunitari (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda).
Le note che seguono si riferiscono ai risultati ottenuti da una parte del progetto, coor- dinata dal gruppo di ricerca dell’ISIG (Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia), guidato da Bruna De Marchi, e cui ha partecipato chi scrive. Tale parte del progetto era dedicata all’esplorazione degli aspetti socio-culturali della fiducia dei consumatori
nella catena alimentare e del modo in cui l’informazione sulla sicurezza alimentare in- fluenza le scelte di consumo.
La tecnica adottata è stata quella dei focus group. Conosciuti anche come ‘interviste ap- profondite di gruppo’ o ‘gruppi di discussione’, i focus group (FG) sono discussioni strutturate ma flessibili fra persone impegnate a esplorare specifici argomenti (Morgan,
1997). Normalmente sono composti da 6-12 volontari e uno o più facilitatori. Questi ultimi hanno il compito di incoraggiare un’interazione serena e equilibrata tra i parte- cipanti e promuovere un’analisi ordinata e approfondita delle questioni in discussione
e delle opinioni e considerazioni che emergono nel corso del dibattito. I metodi quali-
tativi come i FG sono particolarmente utili per esplorare aspetti e dimensioni di una data tematica e le sue connessioni con altre questioni e con opinioni, percezioni, idee, valori espressi dai partecipanti. Dato il numero ridotto di individui che prendono parte
1 Il titolo esteso è ‘Food risk communication and consumers’ trust in the food supply chain’. Il progetto è
stato finanziato nell’ambito del Quality of Life Programme, Key Action 1 - Food, Nutrition, and Health
(contract no. QLK1-CT-2002-02343). Coordinatore del progetto è il Prof. Donato Romano (Dipartimen-
to di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali, Università di Firenze). Chi scrive è l’unico responsabi-
le dei contenuti del presente articolo e le opinioni espresse non riflettono necessariamente quelle di altri
soggetti coinvolti nel progetto, in particolare la Commissione Europea. Per ogni ulteriore informazione si rinvia al sito della ricerca: www.trust.unifi.it.
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a tali discussioni i risultati sono privi di rappresentatività statistica. L’utilità dei FG è quindi da collocare prevalentemente nel contesto dell’esplorazione piuttosto che della conferma di ipotesi.
Nell’estate 2003 e nel settembre 2004 hanno avuto luogo due serie di FG. Ciascuna serie comprendeva quattro FG, svolti in ciascuno dei cinque paesi interessati. Le per- sone che hanno partecipato ai gruppi di discussione (mediamente otto per ciascun gruppo) hanno affrontato argomenti che spaziavano dai criteri di scelta degli alimenti
e gli stili di consumo alla sicurezza e le emergenze alimentari; dall’informazione alle aspettative e gli investimenti fiduciari nei confronti degli attori presenti nella catena alimentare; dal comportamento durante e successivamente alle crisi alimentari al ruolo giocato da diverse fonti e canali informativi.
La formazione dei gruppi ha seguito criteri diversi nelle due fasi. Nella prima serie di
FG i gruppi sono stati formati in base agli stili di consumo: clienti di negozi slow food e più in generale di negozi di alta qualità; clienti di negozi ‘biologici’ e del commercio equo e solidale; persone che hanno la responsabilità dell’alimentazione di altre (bam- bini piccoli, anziani); clienti di supermercati hard discount. Nella seconda serie i gruppi
sono stati formati tenendo conto dell’età (inferiore ai 30 anni o superiore ai 50) e della preferenza espressa nei confronti di fonti informative istituzionali (fonti ufficiali e/o veicolate dai mezzi di comunicazione di massa) o informali (reti interpersonali: amici, parenti, negozianti ecc.). Tali preferenze sono state rilevate tramite un questionario somministrato preliminarmente ai potenziali partecipanti.
I risultati ottenuti sono, a parere di chi scrive, di notevole interesse e nel complesso forniscono un quadro alquanto articolato della situazione. Innanzitutto le scelte di consumo sembrano dipendere da una varietà di fattori, alcuni legati specificamente al
cibo (per esempio la credibilità di una marca), altri legati invece agli stili di vita o alla composizione familiare. Il prezzo è senza dubbio un elemento importante nella scelta, ma non necessariamente determinante. Il concetto di ‘qualità’ dei cibi assume una par- ticolare rilevanza. Si tratta di un concetto sfaccettato, che comprende aspetti quali il gusto, l’aspetto esteriore, le tradizioni culturali e la provenienza geografica del cibo, la
‘naturalezza’, il valore nutritivo, l’accettabilità dal punto di vista etico degli ingredienti
e dei metodi di produzione (equità, giustizia, integrità in relazione alle comunità uma- ne, animali e all’ambiente).
La sicurezza assume un ruolo rilevante ma non predominante nelle preoccupazioni quotidiane dei partecipanti. Essa, soprattutto, risulta strettamente intrecciata con l’idea
di qualità. In merito alla sicurezza dei cibi si pone l’accento sulla scarsa disponibilità di notizie esaurienti, utili e affidabili, sia rispetto ai singoli prodotti sia alle filiere alimen- tari. Indicazioni di origine e scadenza sono le informazioni più utilizzate. Notizie sulla sicurezza vengono tratte anche dalla pubblicità, dai media, dai rivenditori, da amici e parenti. La marca e l’esperienza personale svolgono anch’essi un ruolo non trascurabi-
le nell’orientare le scelte rispetto alla sicurezza.
Piuttosto contrastanti sono le opinioni in merito al ruolo del consumatore, le autorità pubbliche, i vari attori della filiera alimentare, la regolamentazione e i controlli, i mec- canismi di mercato. Da un lato si ritiene che una maggiore trasparenza e più controlli
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sarebbero d’aiuto sia ai consumatori sia alle imprese; dall’altro si riconosce la difficoltà
di tali controlli dovuta alla crescente complessità della filiera alimentare. Le dinamiche
di mercato e l’industrializzazione della produzione alimentare sono giudicati da alcuni come fattori in grado di incrementare le opportunità di scelta dei consumatori e la qualità e sicurezza dei cibi. Altri hanno opinioni opposte. La regolamentazione euro- pea viene spesso giudicata eccessivamente rigida e formalista, poco attenta alla sicu- rezza effettiva, nelle sue connessioni con la qualità (un esempio riportato è quello dell’autorizzazione a commercializzare ‘cioccolato’ senza cacao). Vi è la sensazione che non ci sia alcun soggetto, istituzione o procedura che si faccia effettivamente carico di
preoccupazioni e interessi diffusi nella popolazione, in una situazione intricata caratte- rizzata da ampi margini di ignoranza e da altrettanto spazio per comportamenti diso- nesti. Benché la conoscenza delle autorità e delle procedure di controllo sia general- mente scarsa, è diffusa la convinzione di una maggiore affidabilità di quelle nazionali.
Le opinioni sui prodotti biologici sono contrastanti e quelle sui cibi geneticamente modificati molto varie. Vi è attenzione in merito ai possibili effetti a lungo termine di questi ultimi, con particolare riguardo a quelli ambientali. Viene inoltre posta in rilievo
la molteplicità degli interessi coinvolti. Le considerazioni al riguardo sono in genere
tutt’altro che semplicistiche.
I partecipanti hanno discusso anche della ‘autonomia del consumatore’, ossia delle ef- fettive possibilità di scelta esistenti e della capacità dei consumatori di influenzare il mercato tramite tali scelte. Vi è una certa varietà di orientamenti al riguardo, dall’idea
di una responsabilità in prima persona del consumatore per la propria sicurezza fino a un atteggiamento pessimista, passivo e fatalista. Nel complesso, prevale tuttavia l’immagine di un consumatore dotato di scarse possibilità di scelta effettiva nelle attua-
li condizioni di mercato e di produzione industriale.
Scandali e crisi alimentari non sono finite automaticamente al centro della discussione sulla sicurezza, ma sono emersi come uno degli aspetti della questione. Di emergenze
ne vengono ricordate parecchie, ma solo poche hanno lasciato una vivida impressione,
in particolare la BSE. Incertezza e ampiezza delle conseguenze sono fattori significati-
vi nella valutazione della rilevanza delle crisi. Queste ultime vengono considerate tra i responsabili principali della situazione odierna, spesso descritta in termini di sfiducia diffusa e pessimismo rispetto alla sicurezza alimentare. Sebbene i partecipanti ricondu-
cano tale situazione a molteplici cause (di cui alcune remote), essi riconoscono tuttavia che BSE, polli alla diossina e casi simili hanno contribuito a peggiorarla. Gli scandali alimentari, tuttavia, vengono generalmente considerati parte delle vicende odierne del mondo degli affari e dell’industrializzazione. Dunque non qualcosa di inatteso e stra- ordinario, ma un aspetto di come vanno le cose. Affiora altresì la convinzione, da par-
te di alcuni partecipanti, che gli scandali siano in qualche modo ‘pilotati’ (ossia emer- gono solo alcuni problemi di sicurezza, che danneggiano alcune categorie di operatori, mentre altri problemi rimangono volutamente nell’ombra). Molti partecipanti manife-
stano la convinzione che le proprie abitudini di consumo riducano comunque i rischi per la salute. D’altra parte si ritiene che gli scandali alimentari siano in qualche modo serviti a attirare l’attenzione dei consumatori verso il tema della sicurezza e a migliora-
re i controlli.
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Gli effetti delle emergenze alimentari sul comportamento dei consumatori possono
essere distinti come segue: cambiamento temporaneo degli stili di consumo (riduzione
o eliminazione del prodotto ‘incriminato’), cambiamento permanente, nessun cam- biamento. Il primo effetto è di gran lunga il più diffuso presso i partecipanti, mentre un certo numero di essi sostiene di aver mutato stabilmente i propri stili alimentari
(per esempio diventando vegetariano). Nella maggior parte dei casi gli effetti perma- nenti sembrano però limitarsi a un incremento dell’attenzione per le scelte alimentari e una maggiore propensione verso stili di consumo più ‘salutari’. Qualche partecipante
sostiene al contrario di non aver cambiato per nulla le proprie abitudini, in genere ar- gomentando che nel momento in cui la notizia di rischi per la salute si diffonde è or- mai troppo tardi per assumere comportamenti protettivi efficaci.
Riguardo alle crisi alimentari i partecipanti ai FG ritengono che siano i mass-media a stabilire l’agenda pubblica: qual è il problema, cosa si sta facendo, cosa devono fare i consumatori. Sono essi, insomma, a fornire l’informazione iniziale e di base. Le reti interpersonali, per contro, offrono informazioni e prospettive ulteriori rispetto a quel-
le canalizzate dai mass media (informazioni le cui fonti sono in genere autorità pubbli-
che, esperti o responsabili del mondo dell’agricoltura e della produzione). Anche a li- vello interpersonale, conta tuttavia non solo il legame affettivo ma la convinzione che chi dice qualcosa sia effettivamente informato e competente. Più in generale, la valuta- zione della credibilità di una fonte informativa si basa su criteri riconducibili a: autore- volezza, competenza e capacità comunicativa.
I mass media ricevono un giudizio complessivamente assai critico per il sensazionalismo con cui affrontano gli scandali alimentari, e anche per l’incompletezza, l’intempestività
e l’incoerenza dell’informazione fornita. Un’informazione che raramente si rivela utile
in concreto, rispetto ai comportamenti da tenere durante una emergenza. La respon- sabilità di questo non viene addossata interamente ai mass media, ma attribuita piuttosto
a ‘coloro che dovrebbero occuparsene’ (ossia in primo luogo le autorità pubbliche). La mancanza di pareri scientifici indipendenti viene particolarmente lamentata come ele- mento che riduce la credibilità di quanto viene detto. Tuttavia vi è una scarsa propen- sione all’attivazione per la ricerca di informazioni ulteriori.
Il risultato di tutto ciò è ansia, seguita da indifferenza e infine da stanchezza e noia, man mano che il tema viene scavalcato da altre notizie. Molti partecipanti lamentano
di non ricordare alcuna comunicazione ufficiale circa la conclusione di un’emergenza
alimentare, ma di aver assistito solo a una sua graduale scomparsa dalla ribalta. Tale scomparsa, insieme alla stanchezza nei confronti di una copertura iniziale troppo mar- tellante e gridata, sono le ragioni che i più adducono per motivare il ritorno alle abitu- dini alimentari precedenti, oltre alla difficoltà pratica di mantenere diete alternative.
Nel complesso delle discussioni il tema della fiducia è risultato di notevole importanza,
e al tempo stesso circondato da grande incertezza, ambiguità e dubbio. Il concetto di fiducia è strettamente connesso con quello di rischio ed incertezza (Mutti,1994). Si parla di fiducia quando una persona non è sicura di ciò che farà un’altra, ma ha buone ragioni per ritenere che quest’ultima si comporterà in modo conforme alle proprie a-
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spettative. Le attese fiduciarie non si basano mai unicamente sulla mera speranza o sulle emozioni: hanno anche un contenuto cognitivo, sebbene il bilancio tra motiva- zioni cognitive e non cognitive sia variabile. Le attese fiduciarie sostituiscono insomma l’incertezza, il dubbio, con un certo grado di certezza e rassicurazione. Gli investimenti fiduciari si basano sulle caratteristiche attribuite al soggetto che ispira fiducia. Tali ca- ratteristiche si possono ricondurre a tre categorie: abilità (competenza, esperienza, i- struzione e specializzazione professionale, successo ecc.), benevolenza (altruismo, leal-
tà, sincerità, empatia, ecc.), integrità (adesione a principi, coerenza con il comporta- mento passato, congruenza tra parole e fatti, ecc.). (Mayer et al., 1995).
La fiducia non va tuttavia concepita come un fenomeno che si manifesta solo a livello individuale, vale a dire come ‘fiducia interpersonale’. Gli investimenti fiduciari si e- stendono infatti anche a organizzazioni, gruppi, comunità, istituzioni. Questa ‘fiducia sistemica’ (Giddens, 1990) assume rilevanza particolare ai giorni nostri. La tarda mo- dernità è caratterizzata da processi di disaggregazione delle relazioni sociali, che ven- gono riassemblate in base a dimensioni spaziali e temporali differenti.
La fiducia in sistemi simbolici e sistemi esperti (la moneta, il sistema bancario, le rego-
le del traffico aereo ecc.) si basa su un atteggiamento riflessivo nel quale impegni mo-
rali e di valore assumono importanza prevalente rispetto alle valutazioni di carattere cognitivo. Di fronte a tali sistemi è infatti improbabile condurre una stima del rischio
(‘il mio denaro sarà accettato come forma di pagamento?’ oppure ‘l’aeromobile in cui sono seduto sarà ben controllato e mantenuto?’), né di solito si ha una conoscenza di- retta dell’affidabilità di chi gestisce la banca o effettua i controlli. Ciò spiega perché, per esempio, si può avere fiducia (o viceversa sfiducia) nell’abilità e desiderio, da parte del servizio sanitario locale, di prendersi cura della qualità dell’acqua che si beve, seb- bene non si abbia mai avuto occasione di osservare al lavoro i tecnici del laboratorio
sanitario o di valutarne personalmente professionalità, strumenti e motivazioni.
Esiste, infine, un terzo tipo di orientamento fiduciario che si può definire ‘affidamen- to’ (confidence). Esso si ha quando un individuo sente di trovarsi in una situazione co- strittiva, con poche o nessuna possibilità di uscita, e quindi ritiene di non poter in- fluenzare gli eventi in alcun modo. Consapevolmente privo di capacità di incidere sulla situazione, questo individuo non può che fare affidamento su chi, individuo, organiz- zazione, sistema esperto, sembra avere il controllo degli eventi. E’ una situazione mol-
to prossima alla mera speranza (Luhmann, 1988).
Le varianti o declinazioni della fiducia sopra accennate sono tutte emerse nel corso delle discussioni di gruppo. La fiducia interpersonale si sviluppa per esempio tra con- sumatore e negoziante; quella sistemica opera nei confronti delle autorità di controllo
o delle etichette sui prodotti. E’ tuttavia diffuso lo scetticismo nei confronti della pos- sibilità che la fiducia abbia oggi radici profonde. Prevale l’idea di ‘doversi fidare’.
Questo emerge anche nel quadro delle relazioni interpersonali. Per esempio, anche se
ci si fida di un negoziante, nel senso che si è convinti che costui sia onesto e bene in- tenzionato, rimane il dubbio che nemmeno lui possa garantire la qualità e sicurezza dei cibi che vende in quanto alla fine ne sa poco più del consumatore e non ha alcuna possibilità di controlli effettivi al riguardo. Non mancano neppure orientamenti di sfi-
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Rischi quotidiani
ducia profonda collegati a una sorta di ‘auto-affidamento’, ossia alla fiducia in se stessi, nelle proprie capacità concrete di scegliere cibi sani e di qualità e di seguire abitudini che mettono sufficientemente al riparo dai rischi, anche nel caso delle emergenze ali- mentari. Questo orientamento è ovviamente collegato alla convinzione che il consu- matore abbia comunque un certo margine di movimento nell’attuale situazione pro- duttiva e di mercato.
I risultati riassunti nelle righe che precedono sono caratterizzati da una sostanziale uni- formità sia se si comparano i gruppi tra loro sia se si comparano i cinque paesi interes- sati. In altre parole, da un lato l’influenza delle culture alimentari nazionali appare assai limitata, dall’altro non emerge una relazione diretta tra stili di consumo, età o prefe- renze per determinate fonti informative (che come si ricorderà erano i criteri di com- posizione dei gruppi) e opinioni sulla sicurezza alimentare e le tematiche collegate. Su quest’ultimo punto si tornerà tra un attimo per una considerazione finale. Prima tutta- via vale la pena di elencare le principali differenze riscontrate a livello comparativo tra
i paesi interessati.
Si è detto che un atteggiamento venato di fatalismo e rassegnazione è diffuso ovun-
que. Tuttavia esso è più evidente in alcuni paesi, in particolare Germania e Italia. A parte la BSE, nei diversi paesi vengono menzionate emergenze alimentari differenti. Per esempio le implicazioni alimentari del caso Chernobyl vengono tirate in ballo solo
in Italia, Germania e Francia. La conoscenza degli organismi di controllo è general- mente limitata, tuttavia in Olanda e in Gran Bretagna è maggiore. Gli aspetti etici delle emergenze alimentari risultano presi in considerazione in modo esplicito in Francia, Germania e Olanda. In questi casi le considerazioni si incentrano sulle ‘pratiche inna- turali’ diffuse oggi in agricoltura e nell’allevamento del bestiame (p. es. nutrire erbivori
con farine animali) e sul disinteresse per il benessere degli animali.
Tornando al confronto tra i gruppi, come accennato in ciascun paese i risultati sono largamente somiglianti. Ciò significa che, pensando in particolare ai criteri di selezione per la prima tornata di FG, gli stili di consumo non sono direttamente collegabili alle opinioni e agli orientamenti sulle tematiche della sicurezza alimentare. In sostanza, a- nalizzando le discussioni, si trova che vengono presi in considerazione aspetti simili della problematica (prezzo, gusto, varietà e ‘naturalezza’ dei cibi, informazione, con- trolli, complessità della catena alimentare ecc.), che vengono tuttavia utilizzati per co- struire differenti interpretazioni della situazione (industrializzazione della produzione come fattore positivo o negativo, etichettatura degli alimenti come fattore informativo importante oppure di scarsa utilità, consumatore responsabile o passivo, fiducia attiva
o mero affidamento ecc.), senza che ciò sia collegabile agli stili di consumo, ossia ai comportamenti effettivi.
Per fare un esempio, i clienti degli hard discount sono risultati nel complesso altrettanto interessati alla sicurezza e alla qualità dei cibi dei clienti dei negozi slow food. A parte
vincoli di budget, le considerazioni che emergono evidenziano spesso la convinzione,
da parte dei primi, che le merci vendute siano sostanzialmente le stesse in ogni tipo di negozio, e che quindi non abbia senso spendere di più per avere la stessa cosa. Non è quindi il disinteresse per la qualità e la sicurezza dei cibi ma una diversa valutazione
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delle proprie effettive possibilità di scelta che può orientare il consumatore nell’una o nell’altra direzione. Da cosa dipende tale diversità di valutazione? I dati della ricerca non consentono una risposta. Dato però che altre parti del progetto hanno posto in rilievo la scarsa rilevanza delle tradizionali variabili socio-demografiche, è lecito sup- porre che un ruolo non secondario sia svolto dal più ampio quadro di opinioni, valori, credenze che contraddistinguono i diversi partecipanti (p. es. rispetto al ruolo della scienza e della tecnologia, l’affidabilità delle autorità, l’efficacia della competizione di mercato, l’utilità delle reti di relazione interpersonale ecc.).
Se questo è vero, ne consegue che trattare la tematica della sicurezza alimentare iso- landola da un contesto più ampio di rischi e insicurezze, di disincanto e sfiducia, può fornire un quadro distorto della situazione (Pellizzoni, 2005). Analogamente, è proba- bile che anche in questo caso, come è emerso rispetto ad altre problematiche (si veda
ad es. Pellizzoni e De Marchi, 2002), sia alquanto semplicistico pensare che si possa trattare il ‘consumatore’ come un soggetto che, in quanto tale, sia totalmente isolato dal ‘cittadino’ che si forma le proprie opinioni circa l’operato delle autorità, degli e- sperti e delle imprese, e che soprattutto spesso avverte che decisioni cruciali, per e- sempio relative agli indirizzi di politica agricola, sono prese senza che vi sia stato alcun autentico dibattito pubblico al riguardo.
Queste considerazioni rafforzano un aspetto che molte ricerche sulla comunicazione
del rischio hanno messo in evidenza, ossia che il rapporto fiduciario tra cittadino e au- torità è cruciale ma anche fragile. Una volta che si è deteriorato non si ricompone fa- cilmente. Ed è difficile che si ricomponga semplicemente attraverso operazioni di
‘marketing comunicativo’ (De Marchi et al., 2001).
In altre parole, l’assunzione che la comunicazione del rischio abbia una influenza de- terminante sulla fiducia del pubblico trascura le connessioni esistenti tra fiducia e legit- timità attribuita ai processi e agli attori delle politiche. Legittimità che riveste coloro che hanno il potere di prendere decisioni rilevanti per la comunità di una effettiva ‘au- torità’ agli occhi della comunità stessa. Si seguono le indicazioni e si crede alle infor- mazioni fornite da un’autorità legittima in quanto si è convinti che essa sappia e voglia effettivamente perseguire il bene comune.
In questo senso, come anche le discussioni svolte nell’ambito di questa ricerca suggeri- scono, la constatazione da parte del pubblico che i comportamenti di prevenzione e mitigazione degli effetti delle emergenze sono caratterizzati da efficienza, efficacia, in- tegrità e coerenza può giocare, ai fini della ricostituzione della fiducia pubblica, un ruolo più significativo di quello rivestito da strategie centrate esclusivamente sulla co- municazione.
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